Si è svolto il 29 ottobre u.s. nell’aula magna del nostro Liceo il seminario su “Miti, simboli e politica nelle tragedie greche” che nell’ambito del progetto del POF “Incontri creativi tra arte e linguaggi” ne ha rappresentato il momento inaugurale. Protagonista la prof.ssa Domenica Mazzù, direttore del Centro Europeo di Studi su Mito e Simbolo e docente di Filosofia della Politica presso il nostro Ateneo che ha appassionatamente coinvolto gli allievi del triennio del corso E, F e B sull’approccio mitico-simbolico nell’analisi dei fenomeni politici. La peculiarità di quest’approccio, in sostanza, consiste nella «ricerca di un punto di vista che, ferma restando la specificità politica del politico, recuperi la relazione della “logica” politica con la logica simbolica, antropologica, psicanalitica», altrimenti detta “mitologica del politico”. Di ciò pienamente convinta, la Mazzù ha sostenuto «che i miti, le leggende, i testi religiosi, adeguatamente decifrati, possano dare un significativo contributo al tentativo di formulare plausibili risposte a interrogativi tanto complessi quanto essenziali alla comprensione degli equilibri che regolano le relazioni tra gli uomini». La studiosa, pertanto, facendo cogliere l’attualità della tragedia di Edipo, ha esemplificativamente illustrato, con apprezzata efficacia, come sia possibile operare una «dilatazione dei tradizionali confini epistemologici relativi ai fatti ed alle dinamiche di carattere politico in senso stretto», poiché nell’analisi dei fenomeni politici non esauriente risulta la risposta data dalla teoria del contrattualismo, «elaborata secondo i più rigorosi criteri del logos», stante il fatto che quest’ultima «riconduce la genesi del potere politico ad un atto originario libero e disalienato». Pur tuttavia, «a guardare, più in profondità, la domanda sull’origine del potere, invero, prende senso, nell’ottica dell’ermeneutica mitologica, mentre la risposta formulata dalla teoria contrattualistica ubbidisce esclusivamente al criterio della logica politica, come se a domandare fosse il cuore e a rispondere fosse la mera razionalità». È possibile, comunque, che i due modelli si incontrino dialetticamente sul piano del simbolico. Infatti, ad essi «si collegano […] due diverse elaborazioni della perdita dell’uguaglianza originaria (mitica, utopica o ipotetica che la si voglia considerare)»; e precisamente: il modello teologico (del dominio), che è rivolto alla ricerca delle origini del politico, e quello logico della presunta uguaglianza, che fingendo il volontario consenso alla costituzione dello Stato, mira a fornirne la genesi logica. Orbene, in entrambi i casi, trattandosi di «un gesto unilaterale, inclusivo o esclusivo, che mira alla ricostituzione immediata dell’unità-totalità originaria perduta, […] si rivela il carattere diabolico di tutti e due i comportamenti», tesi a imporre, come sono, una visione di parte, inclusiva o esclusiva che sia, come se fosse il punto di vista totale. Siffatto punto di vista, invece, non può più essere ricostituito nell’immediatezza, bensì «deve risultare dal mettere-insieme (sym-ballo) le parti in cui quella totalità originaria si è scissa, riconoscendo con la loro originaria e perduta uguaglianza anche la loro presente diversità». Insomma, mentre la pretesa dell’approccio logico-scientifico è quella di fare a meno di ogni presupposto, la filosofia politica tiene invece doverosamente conto del presupposto teologico, in quanto, in esso si evidenzia la sua funzione escatologica e soteriologica. E, per non incorrere nel rischio della persistenza di un modello di salvezza non conservativo, basato sullo schema mors tua vita mea, che si rivela essere modello diabolico non simbolico, la studiosa, ha prospettato come possibile via d’uscita la correzione del punto di vista strategico, che deve essere riportato dall’esterno all’interno dell’individuo, dove sopravvive, benché temporaneamente inattivato dalla perdita di contatti, il nostro più antico e originario modello di salvezza, quello che, dopo averci dato la vita, ci ha consentito effettivamente di salvarla tramite l’azione ripartiva: «il modello materno, insomma, che ci suggerisce come salvarci non dallo Stato ma insieme allo Stato». Al contrario, il «voler delegare il problema della salvezza allo Stato è un’illusione derivante dalla nostra incapacità di riconoscere il carattere fantasmatico dell’onnipotenza che noi stessi, per rispondere alle nostre paure, abbiamo inventato e messo dentro lo Stato». Sarà il prossimo incontro ad accogliere gli interrogativi sollecitati e rimasti aperti. Per il momento, programmaticamente, l’accento è stato opportunamente posto sulla grande risorsa che gli studi classici offrono nel valorizzare la nostra memoria, che, capace di «intrecciare l’etica con il tempo», per contattare le nostre origini guardando al di là dei processi di contrapposizione convenzionale tra appartenenza ed estraneità, “in un’ottica trasversale”, può realizzare una simbolica elaborazione, che permetta di ricostituire un’identità più complessa, ‘intrecciata’ insieme, appunto, non in senso alternativo escludente ma dialetticamente maturo, aperta creativamente al riconoscimento dell’altro.
(prof.ssa Patrizia Salvatore)